Conciliare famiglia e lavoro in Canada. Emanuela.

Emanuela (42 anni) racconta a Repubblica come lei e il suo compagno riescono a conciliare famiglia e lavoro a Montréal, in Canada.

Le parole chiave sono:

  • FLESSIBILITA’ SUL LAVORO
  • SERVIZI (prima e dopo la gravidanza, asili, scuola, trasporti)
  • AIUTI ECONOMICI ALLE FAMIGLIE
  • SOSTEGNO NELLE DIFFICOLTA’

Consigliata la lettura (per trovare le differenze con l’Italia??)!!

http://d.repubblica.it/attualita/2014/11/26/news/maternita_canada_confronto_italia-2390749/?ref=fbpr

ALI E RADICI

vorrei dare un consiglio a tutte le mamme preoccupate/deluse perchè i figli vogliono “buttare al vento” tutti i parentali sacrifici per farli studiare, “rinunciando” a carriere milionarie per assecondare il loro desiderio (vocazione) di metter su famiglia “fin da giovani” (troppo giovani!). guardate questo bel film del 2000 e state serene.. altrimenti rischiate di trasformarvi in Jane Fonda.

al di là della rassegna cinematografica, da figlia, vi esorto innanzitutto a prendere in considerazione la possibilità di fidarvi delle scelte dei vostri figli. a meno che siate convinte di aver cresciuto una “prole totalmente sconsiderata e degenere”, è probabile che alla base di queste decisioni ci siano giorni/mesi/anni di riflessione e un percorso di discernimento (a 2). l’avete sempre saputo che i figli – cresciuti – avrebbero fatto a modo loro, che il vostro compito era quello di dargli Radici e ALI.. beh.. forse è giunto il momento di incoraggiarli a spiccare il volo. d’altronde – si sa – SONO CAMBIAMENTI SOLO SE SPAVENTANO.. non crediate che il “per sempre” (del matrimonio.. ma anche del mutuo!) non faccia un po’ paura anche a loro.

da studentessa disperata, quasi sociologa specialistica, vi ricordo le statistiche sulla disoccupazione giovanile. purtroppo oggi non ci si può permettere di “fare gli schizzinosi”.. chi vuole avere il privilegio (non era un diritto?) di vedersi accreditato lo stipendio ogni mese, deve accontentarsi.. di non fare il lavoro per cui ha studiato, di essere precario rinnovato ogni 6 mesi, di lavorare di domenica. le “carriere milionarie” che avete sognato per i vostri figli – se ci pensate bene – appaiono piuttosto anacronistiche e/o sono appannaggio di pochi fortunati (raccomandati?). sfatiamo questo mito che esistano ancora lavori di serie A e di serie B, che la dignità di un’occupazione si misuri contando gli zeri della sua retribuzione, che l’università sia finalizzata solo alla carriera (non c’è più nessuno che studia per il gusto di imparare? per migliore se stesso? per cultura personale?), che i soldi – da soli – facciano la felicità. non conta tanto cosa facciamo ma COME LO FACCIAMO e PERCHE’. sfatiamo anche il mito che chi ha famiglia non possa aspirare – col tempo e dopo una sacrosanta gavetta – a posizioni di maggior prestigio e che uno non possa trovare proprio nella sua famiglia LA GIUSTA MOTIVAZIONE PER CRESCERE PROFESSIONALMENTE.

in questo blog lo ripetiamo in continuazione: TENERE INSIEME FAMIGLIA E LAVORO é POSSIBILE. per cercare un proprio EQUILIBRIO, però, non si possono seguire ricette preconfezionate (del tipo.. prima pensi alla carriera.. e quando avrai uno stipendio da quadro allora potrai pensare al resto).. NON è PIU’ GIUSTO CHE CIASCUNO IMPOSTI LA SUA VITA IN BASE ALLE SUE PRIORITA’?

sia chiaro: il mio non è un discorso romantico del tipo “due cuori e una capanna”. da più di qualche mese il sig. F e io stiamo muovendo i primi passi nel campo del costruire casa – arredare casa – accedere al credito.., so bene – purtroppo – che i SOLDI SERVONO (e ne servono tanti e i preventivi raddoppiano sempre). però tutti i soldi del mondo non bastano, non bastano per essere felici una vita.

mia mamma da mesi ce lo ripete in continuazione: che è importante il tasso basso del mutuo, è importante il rinnovo del contratto del F, è importante risparmiare per il salotto della Fimar (questa è una nostra aggiunta in realtà) ma è più importante che “andiamo d’accordo” noi. per una volta sono perfettamente d’accordo con lei. MAI PAURA.

Conciliazione famiglia-lavoro: il punto di vista dei FIGLI.

Troppo spesso guardiamo al tema della conciliazione famiglia-lavoro considerando il punto di vista degli adulti e ignorando, invece, quello dei figli.

Figli che si sentono “orfani” e chiedono attenzioni a genitori troppo presi dal lavoro. Figli portatori di un bisogno di “relazione” che viene ridotto ad un giudizio sulla loro “prestazione” (scolastica, sportiva, …).

Proprio ieri il mio Capo mi mette sulla scrivania un articolo di giornale. Dice che gli è capitato sotto mano e ha pensato che mi potesse essere utile per la tesi e lo stage. Lo leggo velocemente: il Capo ci ha azzeccato!

E’ un articolo (bellissimo) del Prof. 2.0 Alessandro D’Avenia che parla della fatica di educare conservando uno sguardo paziente e attento ai richiami della relazione; e della fatica di diventare grandi accanto ad adulti che “non hanno tempo”.

Riporto qui la seconda parte dell’articolo e il link al pezzo completo, pubblicato su La Stampa.

P.S. Quando D’Avenia scrive “la strada da imboccare, non la soluzione (tutta da costruire strada facendo, altrimenti diventa un’altra prestazione), me la suggeriscono le tante lettere di ragazzi che ricevo..” sembra quasi di leggere un libro di Folgheraiter/Donati.. avrà studiato anche lui Sociologia in Cattolica??!!??

Una ragazza mi scrive della sua fatica a vivere a casa a motivo della separazione dei genitori: l’assenza del padre e la madre che deve barcamenarsi tra lavoro e doppio ruolo educativo l’hanno portata a diventare invisibile, c’è il corpo ma lei è altrove. A scuola nessun insegnante vede (guarda) la sua difficoltà. I voti peggiorano drasticamente, ma nessuno si chiede dove sia finita la ragazza diligente e appassionata di prima. Fino a che una professoressa, nella pienezza del suo ruolo (guardare l’allievo come soggetto e non soltanto ottenere risultati da un oggetto), le fa una domanda pertinente alla materia, ma lei, assente-presente, non risponde. L’insegnante questa volta però non demorde e aspetta il crollo del muro. In una classe attonita le due si fronteggiano in silenzio per vari minuti. La ragazza racconta che il mondo attorno era sparito, c’erano solo lei costretta a tornare in sé perché guardata e quella professoressa che la guardava, proprio al momento del fallimento della prestazione sulla domanda. La ragazza dopo un quarto d’ora di silenzio ininterrotto è scappata via in bagno, a piangere. Da lì è nato una confidenza, a tu per tu prima, a tre poi (madre, professoressa, ragazza) per affrontare la crisi insieme. Si sta riprendendo dalla sua stanchezza di vivere, tutto a partire da uno sguardo sostenuto con coraggio quasi imbarazzante, che le ha consentito di esserci in tutta la sua fragile incompletezza, che spesso è la completezza che un adolescente può permettersi.

Un ragazzo mi aveva scritto (in quanto insegnante-scrittore) di sentirsi abbandonato dai suoi genitori, benché siano vivi e gli garantiscano agi e oggetti. Si lamentava del fatto che fossero troppo presi dal lavoro e quindi di avere poco tempo per stare con lui in cose semplici come guardare una sua partita di calcio. Gli avevo suggerito di parlarne con loro, con questo risultato: «Ho provato a parlare con loro e fargli capire quali fossero i valori importanti della vita, ma niente, sono stato giudicato come viziato. Sembra assurdo anche a me, ma sono arrivato a combinare guai apposta anche solo per farmi mettere in punizione (cosa che non è mai successa) e impegnare una parte dei loro pensieri. Sono deluso perché tutto ciò che avrei voluto mi fosse insegnato da loro è ciò che dovrei insegnare io, non riconosco più in loro il ruolo di genitori! Sono orfano sebbene fisicamente esistano i miei genitori! L’unica cosa che ho imparato e che uno sguardo o un abbraccio sono in grado di annientare tutti gli oggetti che esistono e sarà la prima cosa che insegnerò ai miei figli!».

Qualche giorno fa sostavo su una spiaggia e ascoltavo il rumore del mare e di bambini che giocavano sulla battigia. In particolare intercettavo la voce di una bambina che costruiva qualcosa con le sue formine di plastica. A intervalli regolari chiedeva al padre, perso in un libro, di guardare cosa aveva fatto. Il papà la accontentava sollevando lo sguardo dalle pagine, ma ad un certo punto la piccola gli ha chiesto di andare a vedere da vicino: voleva lo sguardo del padre tutto intero. Lui si è alzato e ha ammirato le composizioni della figlia, che gliele ha illustrate una per una.

Il mio augurio a genitori e insegnanti (a me in primo luogo) quest’anno parte da questa bambina e da questo padre: avere la pazienza e il tempo di ascoltare i richiami alla relazione, senza fermarsi soltanto a giudicare la prestazione, spesso inadeguata (e da segnalare senz’altro come tale), ma andando oltre, nell’ampiezza della vita (perché non affrontare i colloqui con gli insegnanti prima che i figli ricevano i voti?). Alla bambina interessava sì ciò che aveva fatto, ma soprattutto che il papà guardasse lei. Perché tutto quello che aveva fatto esistesse veramente. Perché lei esistesse agli occhi di qualcuno non distratto. E non uno qualunque, ma qualcuno i cui occhi la riguardavano, cioè erano chiamati a guardarla ancora e ancora.

LEGGE 53/2000

procede il duro lavoro di stesura della tesi (ce la farò mai a finire??). in questi giorni, finito il 5° capitolo (il mio preferito!!), sono tornata indietro al 4° sulla normativa nazionale e regionale.. per cui oggi FOCUS SULLA LEGGE 53/2000 che rappresenta – ovviamente tra luci e ombre – la “quintessenza normativa” della conciliazione famiglia-lavoro.

LEGGE 53/2000 "DISPOSIZIONI PER IL SOSTEGNO DELLA MATERNITÀ E DELLA PATERNITÀ, PER IL DIRITTO ALLA CURA E ALLA FORMAZIONE E PER IL COORDINAMENTO DEI TEMPI DELLE CITTÀ"

La Legge 53/2000 ha rappresentato un punto di svolta dal punto di vista normativo e culturale: essa si pone l’obiettivo di promuovere un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediate l’istituzione dei congedi parentali, l’estensione del sostegno ai genitori di portatori disabili, la predisposizione di misure a sostegno della flessibilità di orario e di norme che dispongono il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città.
In particolare, il legislatore ha inteso rispondere alle esigenze di conciliazione famiglia-lavoro promuovendo azioni concrete articolate su tre livelli:
– sul piano culturale, favorendo un maggior coinvolgimento dei padri nella gestione familiare e incentivandoli ad utilizzare i congedi parentali per la cura dei figli;
– dal punto di vista delle politiche dei tempi delle città;
– in ambito aziendale, mobilitando aziende e parti sociali e orientandole alla sperimentazione di azioni positive per la conciliazione sul luogo di lavoro.

Riguardo quest’ultimo punto l’art. 9 stanzia contributi in favore di aziende che intendono realizzare azioni positive orientate alla conciliazione tra vita professionale e vita familiare, con l’obiettivo di introdurre nuove modalità organizzative e gestionali dei tempi di lavoro o servizi capaci di qualificare l’azienda come family friendly. Si tratta di un supporto per l’introduzione di forme di flessibilità della prestazione lavorativa, di programmi di formazione per il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo il periodo di congedo, di progetti per la sostituzione del titolare d’impresa al fine di favorire l’equilibrio tra il tempo di vita e di lavoro. Beneficiari di questi interventi possono essere i dipendenti di aziende private, ASL e aziende ospedaliere, ma anche gli imprenditori e i lavoratori autonomi.

La Legge finanziaria per il 2007 (Legge 27 dicembre 2006, n. 296) ha arricchito l’elenco contenuto nella versione originale dell’art. 9, stabilendo la possibilità di ottenere finanziamenti per:
 progetti che consentano ai genitori che lavorano di usufruire di particolari forme di flessibilità negli orari e nell’organizzazione del lavoro , con priorità agli aventi figli fino ai 12 anni di età (o 15 anni di età in caso di affidamento o adozione);
 percorsi formativi per il reinserimento in azienda dei lavoratori dopo un periodo di congedo superiore a 60 giorni;
 progetti che consentono la sostituzione del titolare d’impresa o del lavoratore autonomo con altro imprenditore o lavoratore autonomo, in periodi corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria o di congedo parentale;
 interventi e azioni volti a qualificare l’azienda come luogo di promozione di forme di conciliazione e a favorire la sostituzione, il reinserimento, l’articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori e disabili o anziani non autosufficienti a carico.

Una ulteriore modifica alla L. 53/2000 è stata apportata dall’articolo 38 della Legge 18 giugno 2009, n. 69 che ne ha riformulato l’articolo 9 per renderlo più rispondente alle esigenze manifestate dall’utenza. Sono state introdotte modifiche relative a: nomenclatura delle azioni progettuali; soggetti proponenti; condizioni di accesso alle misure previste da parte dei destinatari finali delle stesse; introduzione di sistemi innovativi per la valutazione dei risultati; estensione delle tipologie di azione volte a favorire il reinserimento dei lavoratori dopo un periodo di congedo; introduzione di servizi innovativi e reti territoriali; possibilità per i soggetti autonomi di finanziare una collaborazione. Tali modifiche ampliano sostanzialmente la platea dei destinatari e le tipologie di azioni ammissibili.

FLESSIBILITA’: IMPORTANTE NON SOLO PER LE DONNE.

 

con l’arrivo dei volantini mi sono accorta di aver trascurato il blog!! per cui eccomi qui a proporvi la lettura di un articolo pubblicato su WOW!

Jessica Rohman, Manager, Program Content presso Great Place to Work intervista Carla Greenan Executive Coach con oltre 20 anni di esperienza presso Ernst & Young LLP. La flessibilità è importante non solo per le donne.

 

 

il lavoro più duro del mondo

ai candidati per la posizione di “Regista delle operazioni” sono richieste:

ottime conoscenze in medicina, finanza ed arti culinarie; ottime capacità relazionali e negoziazione; disponibilità di lavorare (in piedi) da un minino di 135 ad un numero illimitato di ore settimanali (anche di notte).

non di rado è necessario l’uso di super poteri.

Immagine

non sono previste vacanze (anzi durante le festività il carico di lavoro aumenta..), non c’è tempo per dormire e non è previsto il pagamento di uno stipendio.

 

è chiaro che si tratta del “lavoro più duro del mondo”

 AUGURI A TUTTE LE MAMME.  

#mammachefatica

PRIMO MAGGIO.


Immagine

Secondo molti, in tempi di crisi e con un tasso di disoccupazione nazionale pari al 12,7% (fonte Istat, marzo 2014), parlare di conciliazione famiglia-lavoro è un “lusso” che solo pochi si possono permettere.

In realtà non è così. A causa della crisi c’è chi non lavora ma c’è anche chi lavora il doppio (di domenica, A Pasqua e anche il Primo Maggio) pur di strappare qualche risultato degno di nota. I tempi del lavoro sono diventati ancora più flessibili e le tecnologie portano a rendersi disponibili per periodi sempre più lunghi; mentre la crisi non fa che tagliare gli interventi di welfare (asili e non solo) a supporto delle famiglie. Solo queste constatazioni dovrebbero togliere ogni dubbio riguardo alla necessità di non cancellare la conciliazione dall’agenda della politica.

Buona Festa dei Lavoratori.

CONGEDI PARENTALI: EFFETTI AMBIVALENTI.

ll congedo di maternità e il congedo parentale costituiscono un’importante forma di sostegno alle famiglie. Il loro scopo è non solo quello di favorire il benessere della madre e del bambino, ma anche quello di aiutare a conciliare lavoro e vita familiare (Jaumotte, 2003).

Il fervore che ha accompagnato la diffusione dei congedi parentali non deve però nasconderne i possibili effetti ambivalenti!!!

Se da un lato i sostenitori di congedi prolungati ritengono che questi abbiano effetti positivi sulla salute dei figli e migliorino la posizione occupazionale delle donne, altri autori ritengono che, limitando lo scambio volontario tra lavoratori e datori di lavoro, si riduca l’efficienza economica e si realizzi un ulteriore svantaggio per le donne. In tutti i Paesi europei, infatti, i periodi di congedo vengono utilizzati soprattutto dalle madri e questo ricorso fortemente sessuato contribuisce spesso al mantenimento di disuguaglianze e discriminazioni sessuali sul mercato del lavoro. Una lunga interruzione dell’attività professionale, anche se accompagnata da una garanzia di rientro, può rilevarsi penalizzante per la carriera delle donne e compromettere le loro possibilità di promozione.

Immagine

E’ POSSIBILE VERIFICARE EMPIRICAMENTE L’EFFICACIA DI QUESTE MISURE DI CONCILIAZIONE??

A livello teorico, congedi di maternità troppo lunghi potrebbero avere ripercussioni negative sull’occupazione e sulle carriere femminili. L’obbligo di preservare il posto di lavoro in favore della dipendente in maternità potrebbe diventare oneroso per il datore di lavoro, se protratto troppo nel tempo. Quest’ultimo, infatti, dovrebbe trovare un sostituto adeguato e al termine del congedo essere obbligato a reintegrare la madre che nel frattempo potrebbe aver perso aggiornamento. Questo costo rischia di tradursi in una riduzione dello stipendio della dipendente. Qualora poi il datore di lavoro non potesse discriminare la dipendente a livello salariale, potrebbe preferire – al momento dell’assunzione – un candidato maschio, soprattutto per le posizioni di responsabilità.

A livello empirico, però, gli studi non sostengono in maniera univoca queste ipotesi. Ruhm (1998) conduce un’analisi empirica su 9 stati europei e conclude che i congedi parentali sono positivamente correlati con l’occupazione femminile, ma negativamente con i salari. Lo stesso effetto negativo sui salari femminili era stato riscontrato da Gruber (1994) in uno studio condotto subito dopo l’introduzione del congedo di maternità obbligatorio in alcuni stati americani; Gruber comunque ne enfatizzava l’efficienza in quanto non aveva ridotto l’occupazione femminile, né si era tradotto in un aumento del costo del lavoro.

Altri studi evidenziano un limite massimo di tempo oltre il quale gli effetti del congedo parentale diventano negativi sia in termini di (mancato) rientro nel mercato del lavoro, che in termini di salari e evidenziano il deterioramento del capitale umano dopo un protratto periodo di assenza. Edin e Gustavsson (2001) analizzano tale relazione in un campione di adulti svedesi osservati per più anni e evidenziano la relazione negativa fra capacità cognitive dei soggetti e assenza dal mercato del lavoro per almeno 12 mesi.

In uno studio su un campione di madri lavoratrici tedesche, Ondrich et al. (2003) trovano delle prove indirette secondo cui incentivare le madri a occuparsi dei propri neonati ha come possibile conseguenza una riduzione della continuità del lavoro e dell’accumulo di capitale umano. Gli autori mostrano infatti che la possibilità per le madri di tornare al lavoro decresce all’aumentare della durata del congedo di maternità. L’effetto appare più forte per le lavoratrici part-time, in quanto più facilmente sostituibili di una lavoratrice full-time.

Al contrario, lo studio comparato di Pronzato sull’estensione del congedo parentale facoltativo in vari paesi Europei trova una correlazione positiva fra prolungato congedo parentale e probabilità che la madre rientri nel mercato del lavoro. Nel modello di Pronzato, la scelta di partecipazione al mercato del lavoro da parte della donna è vista in un contesto di scelte familiari e dipende dal consumo dell’intera famiglia, dal reddito del marito (se in coppia), dal proprio reddito e dalla propria produttività domestica che varia al variare dell’età dei figli. Una volta scaduto il tempo di congedo, la donna deciderà o meno se rientrare nel mercato del lavoro a seconda dell’offerta salariale che riceve e rientrerà solo se, in un’ottica di lungo periodo, lo riterrà conveniente. La probabilità di riprendere a lavorare dopo il congedo obbligatorio è più alta per le donne con alti livelli d’istruzione, per le quali il costo opportunità di restare fuori è maggiore, soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale dove le politiche sociali sono meno generose. Al contrario l’effetto di un più elevato reddito familiare è negativo, ma non molto significativo in alcune nazioni (Pronzato, 2009).

LA CURA NON HA ETA’ – Convegno 7 aprile 2014 – Sala delle Colonne BPM

Lunedì scorso (7 aprile) ho partecipato ad un convegno intitolato

“La cura non ha età – La conciliazione familiare per vivere intensamente tutte le fasi della vita” 

organizzato da AUSER LOMBARDIA e ASSOCIAZIONE PARI E DISPARI presso la Sala delle Colonne di BPM a Milano.

UNA MATTINATA DI FERIE SPESA BENE!

Immagine

Dopo l’introduzione di LELLA BRAMBILLA (Presidente Auser Regionale Lombardia), ELISABETTA DONATI (Università degli Studi di Torino, Associazione Pari e Dispari) ha aperto i lavori con il suo intervento intitolato “Le domande di cura nella fase più matura: non solo famiglia e lavoro”. La Donati ha tracciato un quadro sintetico ma preciso dei cambiamenti demografici, sociali e culturali in atto: l’invecchiamento delle parentele che fa emergere nuove domande di cura; il maggiore impegno delle donne nell’ambito lavorativo che si somma alle responsabilità familiari e di cura (80% del lavoro di cura in Italia è svolto dalle donne); l’instabilità coniugale che rompe le reti di solidarietà; l’aumento di persone colpite da disabilità non dovute all’età. Ha poi sottolineato come le strategie europee, che vedono nella maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro la soluzione ai problemi della povertà e dell’invecchiamento della popolazione, si stiano rivelando di fatto poco efficaci perchè:

  1. non favoriscono la partecipazione maschile alla cura;
  2. non considerano la “crisi delle reti informali” che fa riferimento principalmente alle cosiddette “nonne sandwich”, schiacciate tra genitori e nipoti;
  3. considerano la conciliazione (e la cura all’interno della famiglia) come un fatto esclusivamente privato;
  4. riferiscono i problemi di conciliazione quasi esclusivamente alle prime fasi del ciclo di vita familiare e alla genitorialità.

Molto interessante anche l’intervento di CAROLINA PELLEGRINI (Consigliera di Parità Regione Lombardia), la quale ha sottolineato, in maniera concisa, gli aspetti cruciali della relazione famiglia-lavoro, che possiamo così riassumere:

  • la conciliazione NON è solo una questione di figli;
  • la conciliazione NON è solo una questione genere;
  • la conciliazione NON è solo tutela di diritti: è in gioco il benessere dei lavoratori e delle aziende;
  • la conciliazione è UNA SFIDA che, data la pluralita di stakeholders, non possiamo non affrontare in maniera integrata.

Dopo un coffee break che ha seriamente messo in difficoltà il mio regime alimentare di dieta (quando mai non succede???), i lavori sono ripresi con una Tavola rotonda a cui sono intervenuti GIOVANNI D’AVERIO (Direttore Generale Assessorato Famiglia,
Solidarietà Sociale e Volontariato Regione Lombardia), STEFANO LANDINI (Rappresentante Segreteria dello SPI-CGIL Lombardia), ENZO COSTA (Presidente Auser Nazionale), RAFFAELLA MAIONI (Presidente Acli Colf Nazionale), ELIO POZZI (Direttore Bormioli Luigi Spa) ed ELENA LATTUADA (Segreteria CGIL Nazionale).

Di questi brevi interventi riporto qui solo alcuni concetti sparsi e spunti di riflessione:

  • la necessità di POLITICHE INTEGRATE e di PROGETTI CONCRETI, siglati con un’alleanza territoriale;
  • il rischio (da contrastare!) che, con la diminuzione delle pensioni e l’aumento dell’età pensionabile, si arrivi ad una ROTTURA INTERGENERAZIONALE;
  • l’importanza di RIPENSARE IL WELFARE IN TERMINI FAMILIARI, e non solo femminili o individuali;
  • il problema della DISOCCUPAZIONE, ovvero: parlare di conciliazione famiglia-lavoro è un lusso in tempi di crisi economica?;
  • il tema della FLESSIBILITA’ richiesta oggi dal mondo del lavoro.

link agli atti del convegno

CONGEDI DI PATERNITA’

Il congedo di paternità è riconosciuto quando si verificano determinati eventi riguardanti la madre del bambino, a prescindere dal fatto che la stessa sia lavoratrice o non lavoratrice.

Il congedo di paternità spetta in caso di:

  • morte o grave infermità della madre,
  • abbandono del figlio da parte della madre o mancato riconoscimento del neonato,
  • affidamento esclusivo del figlio al padre (art. 155 bis cod. civ.),
  • rinuncia totale o parziale della madre lavoratrice al congedo di maternità spettante in caso di adozione o affidamento di minori.

La durata del congedo di paternità, che decorre dalla data in cui si verifica uno degli eventi suindicati, è pari al periodo di congedo di maternità non fruito dalla lavoratrice madre; invece, in caso di madre non lavoratrice, il congedo di paternità termina al terzo mese dopo il parto. In caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura ospedaliera, il congedo di paternità può essere differito, in tutto o in parte, alla data di ingresso del bambino nella casa familiare.

Immagine

La legge 28 giugno 2012, n.92 ha introdotto, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, alcune misure a sostegno della genitorialità che riguardano l’astensione del padre lavoratore. Questi, quando è un lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, percependo un’indennità pari al 100% della retribuzione. Tale diritto si configura come un diritto autonomo rispetto a quello della madre e può essere fruito anche durante il periodo di astensione obbligatoria post partum della stessa. Il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. Anche in questo caso, al padre è riconosciuta un’indennità pari al 100% della retribuzione in relazione al periodo di astensione.