CONGEDI PARENTALI: EFFETTI AMBIVALENTI.

ll congedo di maternità e il congedo parentale costituiscono un’importante forma di sostegno alle famiglie. Il loro scopo è non solo quello di favorire il benessere della madre e del bambino, ma anche quello di aiutare a conciliare lavoro e vita familiare (Jaumotte, 2003).

Il fervore che ha accompagnato la diffusione dei congedi parentali non deve però nasconderne i possibili effetti ambivalenti!!!

Se da un lato i sostenitori di congedi prolungati ritengono che questi abbiano effetti positivi sulla salute dei figli e migliorino la posizione occupazionale delle donne, altri autori ritengono che, limitando lo scambio volontario tra lavoratori e datori di lavoro, si riduca l’efficienza economica e si realizzi un ulteriore svantaggio per le donne. In tutti i Paesi europei, infatti, i periodi di congedo vengono utilizzati soprattutto dalle madri e questo ricorso fortemente sessuato contribuisce spesso al mantenimento di disuguaglianze e discriminazioni sessuali sul mercato del lavoro. Una lunga interruzione dell’attività professionale, anche se accompagnata da una garanzia di rientro, può rilevarsi penalizzante per la carriera delle donne e compromettere le loro possibilità di promozione.

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E’ POSSIBILE VERIFICARE EMPIRICAMENTE L’EFFICACIA DI QUESTE MISURE DI CONCILIAZIONE??

A livello teorico, congedi di maternità troppo lunghi potrebbero avere ripercussioni negative sull’occupazione e sulle carriere femminili. L’obbligo di preservare il posto di lavoro in favore della dipendente in maternità potrebbe diventare oneroso per il datore di lavoro, se protratto troppo nel tempo. Quest’ultimo, infatti, dovrebbe trovare un sostituto adeguato e al termine del congedo essere obbligato a reintegrare la madre che nel frattempo potrebbe aver perso aggiornamento. Questo costo rischia di tradursi in una riduzione dello stipendio della dipendente. Qualora poi il datore di lavoro non potesse discriminare la dipendente a livello salariale, potrebbe preferire – al momento dell’assunzione – un candidato maschio, soprattutto per le posizioni di responsabilità.

A livello empirico, però, gli studi non sostengono in maniera univoca queste ipotesi. Ruhm (1998) conduce un’analisi empirica su 9 stati europei e conclude che i congedi parentali sono positivamente correlati con l’occupazione femminile, ma negativamente con i salari. Lo stesso effetto negativo sui salari femminili era stato riscontrato da Gruber (1994) in uno studio condotto subito dopo l’introduzione del congedo di maternità obbligatorio in alcuni stati americani; Gruber comunque ne enfatizzava l’efficienza in quanto non aveva ridotto l’occupazione femminile, né si era tradotto in un aumento del costo del lavoro.

Altri studi evidenziano un limite massimo di tempo oltre il quale gli effetti del congedo parentale diventano negativi sia in termini di (mancato) rientro nel mercato del lavoro, che in termini di salari e evidenziano il deterioramento del capitale umano dopo un protratto periodo di assenza. Edin e Gustavsson (2001) analizzano tale relazione in un campione di adulti svedesi osservati per più anni e evidenziano la relazione negativa fra capacità cognitive dei soggetti e assenza dal mercato del lavoro per almeno 12 mesi.

In uno studio su un campione di madri lavoratrici tedesche, Ondrich et al. (2003) trovano delle prove indirette secondo cui incentivare le madri a occuparsi dei propri neonati ha come possibile conseguenza una riduzione della continuità del lavoro e dell’accumulo di capitale umano. Gli autori mostrano infatti che la possibilità per le madri di tornare al lavoro decresce all’aumentare della durata del congedo di maternità. L’effetto appare più forte per le lavoratrici part-time, in quanto più facilmente sostituibili di una lavoratrice full-time.

Al contrario, lo studio comparato di Pronzato sull’estensione del congedo parentale facoltativo in vari paesi Europei trova una correlazione positiva fra prolungato congedo parentale e probabilità che la madre rientri nel mercato del lavoro. Nel modello di Pronzato, la scelta di partecipazione al mercato del lavoro da parte della donna è vista in un contesto di scelte familiari e dipende dal consumo dell’intera famiglia, dal reddito del marito (se in coppia), dal proprio reddito e dalla propria produttività domestica che varia al variare dell’età dei figli. Una volta scaduto il tempo di congedo, la donna deciderà o meno se rientrare nel mercato del lavoro a seconda dell’offerta salariale che riceve e rientrerà solo se, in un’ottica di lungo periodo, lo riterrà conveniente. La probabilità di riprendere a lavorare dopo il congedo obbligatorio è più alta per le donne con alti livelli d’istruzione, per le quali il costo opportunità di restare fuori è maggiore, soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale dove le politiche sociali sono meno generose. Al contrario l’effetto di un più elevato reddito familiare è negativo, ma non molto significativo in alcune nazioni (Pronzato, 2009).

LA CURA NON HA ETA’ – Convegno 7 aprile 2014 – Sala delle Colonne BPM

Lunedì scorso (7 aprile) ho partecipato ad un convegno intitolato

“La cura non ha età – La conciliazione familiare per vivere intensamente tutte le fasi della vita” 

organizzato da AUSER LOMBARDIA e ASSOCIAZIONE PARI E DISPARI presso la Sala delle Colonne di BPM a Milano.

UNA MATTINATA DI FERIE SPESA BENE!

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Dopo l’introduzione di LELLA BRAMBILLA (Presidente Auser Regionale Lombardia), ELISABETTA DONATI (Università degli Studi di Torino, Associazione Pari e Dispari) ha aperto i lavori con il suo intervento intitolato “Le domande di cura nella fase più matura: non solo famiglia e lavoro”. La Donati ha tracciato un quadro sintetico ma preciso dei cambiamenti demografici, sociali e culturali in atto: l’invecchiamento delle parentele che fa emergere nuove domande di cura; il maggiore impegno delle donne nell’ambito lavorativo che si somma alle responsabilità familiari e di cura (80% del lavoro di cura in Italia è svolto dalle donne); l’instabilità coniugale che rompe le reti di solidarietà; l’aumento di persone colpite da disabilità non dovute all’età. Ha poi sottolineato come le strategie europee, che vedono nella maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro la soluzione ai problemi della povertà e dell’invecchiamento della popolazione, si stiano rivelando di fatto poco efficaci perchè:

  1. non favoriscono la partecipazione maschile alla cura;
  2. non considerano la “crisi delle reti informali” che fa riferimento principalmente alle cosiddette “nonne sandwich”, schiacciate tra genitori e nipoti;
  3. considerano la conciliazione (e la cura all’interno della famiglia) come un fatto esclusivamente privato;
  4. riferiscono i problemi di conciliazione quasi esclusivamente alle prime fasi del ciclo di vita familiare e alla genitorialità.

Molto interessante anche l’intervento di CAROLINA PELLEGRINI (Consigliera di Parità Regione Lombardia), la quale ha sottolineato, in maniera concisa, gli aspetti cruciali della relazione famiglia-lavoro, che possiamo così riassumere:

  • la conciliazione NON è solo una questione di figli;
  • la conciliazione NON è solo una questione genere;
  • la conciliazione NON è solo tutela di diritti: è in gioco il benessere dei lavoratori e delle aziende;
  • la conciliazione è UNA SFIDA che, data la pluralita di stakeholders, non possiamo non affrontare in maniera integrata.

Dopo un coffee break che ha seriamente messo in difficoltà il mio regime alimentare di dieta (quando mai non succede???), i lavori sono ripresi con una Tavola rotonda a cui sono intervenuti GIOVANNI D’AVERIO (Direttore Generale Assessorato Famiglia,
Solidarietà Sociale e Volontariato Regione Lombardia), STEFANO LANDINI (Rappresentante Segreteria dello SPI-CGIL Lombardia), ENZO COSTA (Presidente Auser Nazionale), RAFFAELLA MAIONI (Presidente Acli Colf Nazionale), ELIO POZZI (Direttore Bormioli Luigi Spa) ed ELENA LATTUADA (Segreteria CGIL Nazionale).

Di questi brevi interventi riporto qui solo alcuni concetti sparsi e spunti di riflessione:

  • la necessità di POLITICHE INTEGRATE e di PROGETTI CONCRETI, siglati con un’alleanza territoriale;
  • il rischio (da contrastare!) che, con la diminuzione delle pensioni e l’aumento dell’età pensionabile, si arrivi ad una ROTTURA INTERGENERAZIONALE;
  • l’importanza di RIPENSARE IL WELFARE IN TERMINI FAMILIARI, e non solo femminili o individuali;
  • il problema della DISOCCUPAZIONE, ovvero: parlare di conciliazione famiglia-lavoro è un lusso in tempi di crisi economica?;
  • il tema della FLESSIBILITA’ richiesta oggi dal mondo del lavoro.

link agli atti del convegno

CONGEDI DI PATERNITA’

Il congedo di paternità è riconosciuto quando si verificano determinati eventi riguardanti la madre del bambino, a prescindere dal fatto che la stessa sia lavoratrice o non lavoratrice.

Il congedo di paternità spetta in caso di:

  • morte o grave infermità della madre,
  • abbandono del figlio da parte della madre o mancato riconoscimento del neonato,
  • affidamento esclusivo del figlio al padre (art. 155 bis cod. civ.),
  • rinuncia totale o parziale della madre lavoratrice al congedo di maternità spettante in caso di adozione o affidamento di minori.

La durata del congedo di paternità, che decorre dalla data in cui si verifica uno degli eventi suindicati, è pari al periodo di congedo di maternità non fruito dalla lavoratrice madre; invece, in caso di madre non lavoratrice, il congedo di paternità termina al terzo mese dopo il parto. In caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura ospedaliera, il congedo di paternità può essere differito, in tutto o in parte, alla data di ingresso del bambino nella casa familiare.

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La legge 28 giugno 2012, n.92 ha introdotto, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, alcune misure a sostegno della genitorialità che riguardano l’astensione del padre lavoratore. Questi, quando è un lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, percependo un’indennità pari al 100% della retribuzione. Tale diritto si configura come un diritto autonomo rispetto a quello della madre e può essere fruito anche durante il periodo di astensione obbligatoria post partum della stessa. Il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. Anche in questo caso, al padre è riconosciuta un’indennità pari al 100% della retribuzione in relazione al periodo di astensione.

CONCILIAZIONE SOTTO IL LETTO!

Nella giornata dedicata a S.Giuseppe e a tutti i papà, vi raccontiamo l'esperienza di un neo-genitore alle prese con orari e responsabilità lavorative a volte "non troppo concilianti"..

Non sono un esperto dell’argomento “conciliazione famiglia e lavoro”, anzi, tutto il contrario, però quando mi hanno spiegato di cosa si tratta, subito mi è venuto in mente il mitico film del 1968 “Appuntamento sotto il letto!“.. anche se in quel caso la conciliazione era tra famiglia e famiglia. Lei, infermiera, vedova con otto figli, sposa lui, ufficiale di marina, vedovo, con dieci figli generando una miriade di equivoci, litigi, contestazioni, fraintendimenti e relative situazioni, per l’appunto, di conciliazione tra le due realtà, per cui l’unico momento in cui i due si ritrovano come coppia è a fine giornata (lavorativa e famigliare).

Io e mia moglie, di bambino, per ora, ne abbiamo uno solo, ma anche noi ci troviamo a vivere, come coppia, poche decine di minuti prima di andare a dormire: e il merito, diversamente dal film, è del lavoro, che, almeno nel mio caso, non concilia molto con l’idea standard di famiglia!E, strano a credersi, io lavoro proprio per una famiglia (anche se non è proprio standard)!

Lavoro in una di quelle grandi case che assomigliano più ad un albergo: ospiti importanti che vanno e vengono, eventi da allestire, riunioni di lavoro da preparare, il personale da organizzare, fornitori da contattare … insomma, un lavoro molto variegato ma che necessita inevitabilmente della mia presenza costante. E infatti la mia giornata lavorativa classica inizia alle 9 e finisce dopo cena, con qualche pausa in mezzo, se riesco a ritagliarmela. Con un orario così, uno dove la mette la famiglia? Sotto il letto?

Il problema di inconciliabilità tra famiglia e lavoro, nel mio caso, sta tutto concentrato nell’orario molto lungo della giornata lavorativa e nel fatto che sul luogo di lavoro la mia figura professionale non è facilmente sostituibile: per assentarmi devo  organizzare con largo anticipo tutte le attività in modo che gli altri, che hanno compiti totalmente diversi e quasi mai tempo, possano coprire a turno lo stretto indispensabile, oppure, se proprio necessario, recuperare del personale esterno.

Lavoro in questa casa da 4 anni e mi sono assentato solo 3 volte per motivi che non fossero strettamente legati alla mia salute ma che assomigliano più a questioni familiari: 2 settimane per il congedo matrimoniale (prolungato di una settimana per un’infezione contratta nel viaggio di nozze), 2 settimane quando è nato mio figlio (che tra l’altro coincidevano con le vacanze di Natale) e 2 giorni quando mia moglie ha avuto un principio di mastite durante l’allattamento. Per il resto, faccio coincidere tutto quello che serve per la mia casa e la mia famiglia con i miei giorni liberi e con le vacanze.Fino ad ora è sempre andata bene così, anche perché mia moglie ha un lavoro molto meno impegnativo in termini di orario e riesce a gestire il bambino coadiuvata dalle nonne.

 L’aspetto più pesante di tutta la faccenda è il vedersi davvero con il contagocce: probabilmente se il mio lavoro non mi piacesse o se non fosse necessario lavorare per vivere, opterei per un altro tipo di impiego!Il sacrificio che mi costa maggiormente è quello, nei giorni lavorativi, di vedere mio figlio solo per metterlo a letto, se arrivo a casa abbastanza “presto”.

Quanto detto finora  vale certamente per l’ordinario: la giornata lunga, il finire di lavorare dopocena, la presenza necessaria … sono tutti aspetti che, se ne avessi bisogno per una emergenza, verrebbero messi in secondo piano. Ma questo, probabilmente, vale per ogni tipo di impiego e non rientra nello spinoso tema della conciliazione. La mia fortuna professionale  è che, lavorando in casa, sono diventato col tempo “uno di casa”i miei datori di lavoro si sono sempre dimostrati gentili e disponibili per qualsiasi tipo di problema: da me il buonsenso funziona bene anche senza l’intervento di una eventuale normativa, e di questa cosa ne godiamo tutti, sia io, sia i datori di lavoro, sia il resto del personale.

Mi chiedo abbastanza spesso se il mio orario possa essere modificabile per dare più spazio al mio essere marito e padre, ma per il lavoro che faccio non vedo molte alternative: non posso non incaricarmi di certe responsabilità o certe procedure che avvengono in determinati orari! Non a caso, infatti, di solito chi ricopre il mio ruolo in altre realtà è domiciliato presso la stessa residenza per far fronte in tempo reale a qualsiasi tipo di esigenza, e spesso e volentieri è un single.

OTTIMI MOTIVI!!!!

4 OTTIMI MOTIVI 
X CONDIVIDERE LA VOSTRA ESPERIENZA DI CONCILIAZIONE FAMIGLIA - LAVORO:

 

1. Aiutare una ormai “anziana” Studentessa Universitaria (secondo voi dopo “x” anni di laurea specialistica mi intitoleranno un’aula???) a portare avanti il suo Progetto di Stage, il quale è stato a lungo pensato, studiato, messo in discussione, aggiustato in itinere.. e anche un po’ (mooooooooooooooooolto!!!) sofferto. 

2. Avere l’occasione per RIFLETTERE, a livello individuale ma soprattutto familiare, sul tema della CONCILIAZIONE FAMIGLIA-LAVORO. Tutti i giorni, tutte le famiglie mettono in atto (con risultati più o meno brillanti) strategie di conciliazione, SPESSO SENZA SAPERLO / RICORDARSELO!!! Coltiviamo quella consapevolezza che aiuta a fare scelte più efficaci!!!

3. AIUTARE LE FUTURE GENERAZIONI DI CONCILIATORI!!! Sembra scontato ricordarlo, ma la vostra esperienza sarà sicuramente utile, preziosa, (perchè no?) decisiva per chi avrà voglia/tempo di leggerla!!! Tutti hanno sperimentato (o sperimenteranno) piccoli o grandi dilemmi di conciliazione, fatto scelte più o meno decisive sul tema: condividere le strategie di FRONTEGGIAMENTO del problema (ma anche le difficoltà, le stanchezze, le fatiche!!) non può che far bene a tutti, in pieno stile “auto-mutuo-aiuto”!!!

4. Contribuire alla COSTRUZIONE DI UNA CULTURA ATTENTA ALLA CONCILIAZIONE FAMIGLIA-LAVORO!!! La conciliazione non è solo un problema di donne ma, per certi aspetti, neanche solo un problema “di famiglia” perchè tira in ballo la Comunità.. le Istituzioni, il Terzo settore; le Associazioni Familiari, i Tempi delle città, le politiche dei trasporti, le AZIENDE..

FORZA ALLORA!!

mentre siete in metropolitana per andare al lavoro o state aspettando un treno in ritardo, mentre siete in coda dal medico o in posta (!!!!!!!!!!!) o al supermercato, mentre aspettate i figli dopo la lezione di danza/nuoto/pallavolo/karate.. provate a pensare alla vostra esperienza di.. mariti /mogli /madri /nonni /figli /padri /operatori sociali /sindaci /politici /imprenditori /disoccupati /lavoratori dipendenti /casalinghi /chi più ne ha più ne metta.. conciliatori!!!

il mondo è bello perchè è vario, per cui non abbiate paura ad esprimere la vostra “VoceFuoriDalCoro”!!!

 

POTETE INVIARE LE VOSTRE RIFLESSIONI / DOMANDE / ANNOTAZIONI

ad un indirizzo mail dedicato conciliazioneliberatutti@gmail.com 

gli interventi saranno pubblicati sul blog in forma assolutamente anonima!!!

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I CONGEDI PARENTALI!

I CONGEDI PARENTALI sono stati introdotti dalla Legge dell’8 marzo 2000, n. 53 che prevede, oltre all’astensione obbligatoria, un periodo di astensione facoltativa che può essere usufruito anche dai padri.

Il congedo parentale compete, in costanza di rapporto di lavoro, ai genitori naturali entro i primi 8 anni di vita del bambino e per un periodo complessivo tra i due non superiore a 10 mesi, aumentabile a 11 qualora il padre lavoratore si astenga dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi.

In pratica, quindi, il congedo parentale spetta alla madre lavoratrice dipendente, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi; al padre lavoratore dipendente, anche se la madre non lavora o se sta usufruendo del periodo di astensione obbligatoria, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi, elevabile a 7; al genitore solo (padre o madre), per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 10 mesi.

Ai lavoratori dipendenti, genitori adottivi o affidatari, il congedo parentale spetta, con le stesse modalità dei genitori naturali, e cioè entro i primi otto anni dall’ingresso del minore nella famiglia, indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’adozione o affidamento, e non oltre il compimento della maggiore età dello stesso.

L’indennità percepita dai genitori naturali per congedo parentale è pari, entro i primi 3 anni di età del bambino, al 30% della retribuzione media giornaliera calcolata considerando la retribuzione del mese precedente l’inizio del periodo indennizzabile. Dai 3 agli 8 anni di età del bambino, nel caso in cui i genitori non abbiano fruito del congedo nei primi 3 anni, o per la parte non fruita, esso viene retribuito al 30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente risulta inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione. Anche i genitori adottivi o affidatari, entro i 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore, indipendentemente dalle condizioni di reddito del richiedente, possono usufruire dell’indennità per congedo parentale al 30% della retribuzione media per un periodo complessivo di sei mesi tra i due genitori. Dai 3 agli 8 anni dall’ingresso in famiglia del bambino, il congedo, nel caso in cui i genitori non ne abbiano fruito prima o per la parte non fruita, viene retribuito al 30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente risulta inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione.

I genitori che usufruiscono del congedo parentale hanno diritto, inoltre, alla conservazione del posto di lavoro, alle prestazioni di previdenza e assistenza sociale.

Il congedo parentale spetta anche alle lavoratrici autonome, per un  massimo di 3 mesi ed entro il primo anno di vita del bambino, a condizione che abbiano effettuato il versamento dei contributi relativi al mese precedente quello in cui ha inizio il congedo (o una frazione di esso) e che vi sia l’effettiva astensione dall’attività lavorativa. In caso di adozione nazionale o internazionale e di affidamento preadottivo, il congedo è riconoscibile per massimo 3 mesi, entro 3 anni dall’ingresso del minore nella famiglia, purché all’atto dell’adozione o affidamento il minore non abbia superato i 12 anni di età. Nel caso di parto, adozione o affidamento plurimo, il diritto al congedo parentale è previsto per ogni bambino alle condizioni sopra indicate. L’indennità corrisposta è pari al 30% della retribuzione convenzionale prevista per l’anno di inizio del congedo stesso.

La legge 28 giugno 2012, n.92 ha introdotto, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità e per gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, l’erogazione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting e la fruizione di  servizi per l’infanzia, pubblici  o erogati da privati accreditati.

La legge 24 dicembre 2012, n.228 ha introdotto, inoltre, la possibilità di frazionare ad ore la fruizione del congedo parentale, rinviando tuttavia alla contrattazione collettiva di settore il compito di stabilire le modalità di fruizione del congedo stesso su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.

LEI CONCILIA? (un post di Davide Vassallo dal blog Conciliazione plurale)

“Rebloggo” questo brillante post di Davide Vassallo pubblicato sul blog di Conciliazione Plurale l’11 febbraio scorso.
Sottolineo solo:
1. Amara quanto personalissima (!!) constatazione del fatto che la disponibilità a venire in contro ai bisogni di conciliazione dei dipendenti/colleghi spesso derivi più da sensibilità personali e dal consolidarsi di un rapporto di fiducia che da considerazioni di ordine contrattuale. 
2. Urgenza di promuovere una CULTURA DELLA CONCILIAZIONE!!!
Buona lettura!

La giornata che comincia male…

Non faccio in tempo a uscire dal cortile di casa, accendere l’autoradio e cercare la stazione preferita che, inaspettata e gradita come una cartella di Equitalia, mi trovo davanti la paletta rossa di un vigile.

Una vigilessa, per la precisione.
<<Lei sta guidando senza cinture. Concilia?>>
Sarà per l’ora mattutina che rende difficile la concentrazione, oppure saranno gli occhi scuri della vigilessa, che ricordano quelli di mia moglie, ma mi vien da collegare quella domanda (<<Concilia?>>) a situazioni più famigliari e quotidiane…

Concilio?

Concilio con il mio lavoro
Ossia, come suggerisce l’etimologia del termine, “cerco un accordo” con i miei contesti lavorativi.
Sono un lavoratore dipendente part-time e un consulente libero professionista, buona parte del mio lavoro potrebbe anche essere svolto da casa, in una modalità simile al telelavoro, e le nuove tecnologie consentirebbero agevoli e gratuite teleconferenze.
Ma, almeno per ora, essere presenti nell’ambiente lavorativo, rispettare un orario codificato e fisso, è ancora considerato essenziale anche per mansioni che, in linea di principio, potrebbero godere di maggiore flessibilità.
Ciononostante non mi posso lamentare delle possibilità di conciliazione che trovo nei miei contesti lavorativi: in linea di massima c’è disponibilità ad accogliere le richieste di ritardi imprevisti e slittamenti di agenda per questioni famigliari.
Credo che tale disponibilità derivi più da sensibilità personali e dal consolidarsi di un rapporto di fiducia che da considerazioni di ordine contrattuale. Per tale motivo ritengo prioritario un lavoro di semina di germogli in tema di conciliazione: senza una cultura adeguata, leggi di stato e norme di contratto avranno poco spazio di applicabilità reale… O anche, utilizzando un’altra metafora, tra il contratto di lavoro e l’organizzazione del lavoro c’è un anello (mancante): la cultura della conciliazione, e siti come “Conciliazione plurale” contribuiscono a costruire, mattone per mattone, un cambiamento di prospettiva.
Con il mio lavoro cerco un accordo anche in termini quantitativi: indubbiamente da “single” lavoravo di più. Ora devo sacrificare qualche impegno, concentrarmi su temi prioritari, rimacinare e rielaborare quanto già prodotto per risparmiare sui tempi…
La scelta è stata quella di ridurre la quantità per salvaguardare la qualità…e la salute mentale :-)

Concilio con la mia famiglia
Con la mia consorte abbiamo due bambini, di tre e cinque anni.
In ordine di tempo, la prima strategia conciliativa che ho suggerito derivava da considerazioni di psicologia organizzativa: la famiglia funziona meglio se ognuno si occupa di ciò che esalta le proprie potenzialità e inclinazioni. Io sono bravo a raccontare le storie della buonanotte e pianificare gite…mia moglie dà il meglio di se’ ai fornelli e al ferro da stiro… Per qualche recondito motivo, senz’altro dovuto all’inconoscibile psicologia femminile, tale idea non ha incontrato grande consenso.
Oggi utilizziamo una strategia che, mutuando termini politici, potremmo chiamare “dell’alternanza”: iniziamo al mattino presto con l’alternanza in bagno, alternanza alla colazione con i bambini, negli accompagnamenti, nei rientri, nel tempo di cura, nei mestieri…
E’ un interessante esercizio di crono-mutualità dei ruoli, l’essenziale è non confondersi: il rischio è di ritrovarsi entrambi incastrati sotto la doccia mentre i bambini, incustoditi e indisturbati, si lanciano i biscotti in cucina…
La “Conciliazione dell’alternanza” ha due importanti appendici:

  1. La sindacalizzazione dell’organizzazione quotidiana: a volte, io e Katia, sembriamo due tramvieri che si trovano davanti al cartellone dei nuovi turni: <<Avrei bisogno di fare il turno A, faresti cambio con il turno B, per martedì?>> <<Eh, no…il turno A vale almeno il B e il C messi assieme…>>
  2. La gestione dei carichi emotivi: ci arrabbiamo molto, litighiamo, a volte riusciamo a ridere delle arrabbiature e dei litigi stessi. Mai una volta, però, ci capita di pensare che non ne valga la pena, di fare fatica…

De-costruire ruoli maschili e femminili sedimentati in millenni di storia è difficile (forse soprattutto per gli uomini?), ma pensare che sia impossibile significa rinunciare a qualunque possibilità di conciliazione democratica. Una de-costruzione e una ri-costruzione dei ruoli è necessaria anche per re-impostare un rapporto con i propri recenti antenati: ebbene sì, anche i nostri nonni, come tanti altri, sono annoverati tra i beati e sono ormai prossimi alla santificazione. Mia madre, alcuni pomeriggi, si ritrova a dover governare un’associazione per delinquere di cinque marmocchi, i miei due più i tre di mia sorella. Mia suocera percorre, almeno una volta la settimana, quaranta chilometri (all’andata) e poi altri quaranta (al ritorno) per andare a prendere i miei figli alla scuola materna; pensare che si vendica di me solo due volte l’anno, facendomi potare i sessanta metri di siepe del suo giardino.
Sono profondamente grato a questi genitori di genitori, cerco di ricambiare come posso e quando posso ma, periodicamente, ci ricado: gioco ancora troppo il ruolo del figlio bisognoso di cure, che si vanno a sommare a quelle richieste loro dai nipotini…

Concilio con me stesso
Cerco anche di conciliare con me stesso. Indubbiamente il tempo che rimane non è molto, magari sacrifico un pranzo per andare un po’ a nuotare, o qualche ora di sonno, di tanto in tanto, per scrivere un post, leggere un libro…
E’ essenziale curare il proprio benessere, per quanto possibile: fa parte delle strategie di sopravvivenza.
E’ altrettanto essenziale essere indulgenti con le proprie possibilità: è vero, conciliare richiede sacrifici ma…curare le relazioni, concentrarsi sulla qualità, de-costruire e ricostruire ruoli, perdonarsi i propri limiti…sì, mi viene da dire che l’esperienza della conciliazione è anche un’importante e impagabile occasione di crescita personale!

…è una giornata che continuerà ancora peggio…

<<Allora…concilia?!>>, mi chiede la vigilessa.
<<Certo! Volentieri!>>, rispondo.
Lei mi guarda sospettosa e termina di compilare il verbale.
<<Stia attento: per la recidiva c’è la sospensione della patente>> m’informa consegnandomi il foglietto.
Settantaquattro euro?!
‘Azz…quando lo scoprirà mia moglie! Come farò a ri-conciliare?

NON SOLO “UN PROBLEMA DA DONNE”.

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, vogliamo ricordarci che

la conciliazione famiglia-lavoro NON è “solo” un problema “da donne”!!!!

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  • Anche se il termine “conciliazione” inizia ad essere utilizzato nel campo dei rapporti tra lavoro e famiglia, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, con esplicito riferimento alla donna*, a cui viene riferito il problema di equilibrare i vari ruoli di vita: quelli interni alla famiglia (madre e moglie) e quelli esterni (lavoratrice)..

[*Nelle versioni marxiste, la donna è il simbolo del proletario che sta di fronte al borghese, il marito-padre-padrone; mentre, in quelle meno radicali, si rivendica la possibilità per le donne di far fronte agli impegni e alle responsabilità familiari senza essere soggette a discriminazioni professionali.]

  • Anche se, a livello generalizzato, la conciliazione famiglia-lavoro è spesso considerata uno strumento per realizzare l’uguaglianza dei diritti tra uomo e donna nella divisione del lavoro familiare e nel mercato del lavoro e la stessa Unione Europea utilizza questo termine per indicare le misure finalizzate a favorire l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro..
  • Anche se le statistiche mostrano come in tutta l’Europa, ma soprattutto nei paesi mediterranei, siano ancora le donne a sopportare la maggior parte delle difficoltà legate alla conciliazione tra famiglia e lavoro..
  • Anche se le disparità nella ripartizione delle responsabilità in fatto di lavori domestici, assistenza ed educazione dei figli e una scarsa valorizzazione, ideale e finanziaria, delle prestazioni tipicamente femminili rendono necessarie nuove politiche che promuovano una più equilibrata ripartizione dei compiti tra uomini e donne..
Trattare la questione della conciliazione come problema esclusivamente o prevalentemente femminile, oltre a non consentire un’effettiva equità di genere e a strutturare politiche conciliative connesse a basse prospettive di carriera per le donne, elude la sostanza del problema..

Certamente la conciliazione tra vita familiare e vita professionale

è ANCHE una questione di uguaglianza tra i sessi,

però, come mostrano gli esempi di tutti i paesi europei, quando ci si trova davanti al conflitto secco tra famiglia e lavoro, bisogna scegliere tra le soluzioni favorevoli alla famiglia e le soluzioni che mirano ad una ripartizione ugualitaria di oneri e vantaggi tra uomini e donne.

La conciliazione dovrebbe essere concepita come una QUESTIONE DI FAMIGLIA nella quale vanno coinvolti a pieno titolo donne e uomini: essa riguarda, infatti, la possibilità per i genitori-coniugi di compiere effettivamente una scelta condivisa in ordine alle esigenze e al bene dell’intero nucleo familiare.

2014

ImmagineIl 2014 sarà ricordato “dai più” non tanto per la mia laurea, quanto come “Anno Europeo della Conciliazione tra vita professionale e vita familiare”.

L’immagine scelta da CoFaCe (Confederation of Family Organisations in the European Union) per la campagna è una famiglia di pinguini imperatori dove, per natura, quando nasce un piccolo, i compiti di cura sono affidati al padre mentre la madre va in cerca di cibo.

https://famiglialavoro.regione.veneto.it/wp-content/uploads/2013/06/ArticoloConciliazione.pdf

Buon 2014 e buona conciliazione.